banchi scuola

 

Secondo lo studio elaborato dall'OCSE  (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) basato sul confronto tra i dati delle indagini Ocse-Pisa sulle competenze scolastiche e sulle competenze degli adulti (26/28 anni), la scuola italiana funziona molto meglio di quella di altri paesi dell'Ocse.

E come infatti dichiara la ministra Valeria Fedeli, i dati pubblicati dall’Ocse ci dicono che la scuola italiana è una scuola inclusiva, capace di supportare le studentesse e gli studenti che partono da condizioni più svantaggiate.

Una scuola di cui possiamo essere orgogliosi e a cui dobbiamo ora continuare a garantire strumenti e risorse perché possa attuare sempre pienamente l’articolo 3 della nostra Costituzione, garantendo a tutte le ragazze e tutti i ragazzi pari opportunità e uguaglianza. In questa direzione vanno gli investimenti che stiamo facendo sulle competenze delle studentesse e degli studenti attraverso i fondi PON che abbiamo messo a bando nelle scorse settimane.

Qualche dato sullo studio dal titolo "Come si comportano alcune coorti di studenti dell'indagine Pisa nell'indagine successiva sulle competenze degli adulti Piaac?":

come rivela Ansa,dal confronto delle indagini Ocse-Pisa sulle competenze scolastiche e sulle competenze degli adulti (26/28 anni) Survey of Adult Skills (PIAAC), La scuola italiana funziona bene: parola di Ocse. Fedeli: continuiamo a lavorare per renderla sempre più inclusiva emerge che, in generale, il divario del punteggio nell'alfabetizzazione associato all'istruzione dei genitori è generalmente di grandi dimensioni, all'età di 15 e tende ad allargarsi come dimostra l'analisi realizzata sul campione di studenti osservato dall'indagine Ocse-Pisa giovane età adulta.

Nella Repubblica Ceca, in Danimarca e in Polonia, il divario è superiore a 0,5 all'età di 15 anni e aumenta a 27 anni. Invece, in Belgio (Fiandre), in Canada e negli Stati Uniti il divario è maggiore di 0,5 a 15 anni ma diminuisce a 27 anni. In Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia il divario con il livello di istruzione dei genitori è ridotto all'età di 15 anni (0,3) ma aumenta da giovani adulti e, in Nuova Zelanda, arriva fino a 0,8.

In Corea il divario è basso all'età di 15 anni e rimane sempre ad un livello non alto. Il divario con l'istruzione dei genitori all'età di 15 è di medie dimensioni in Australia, Austria, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia e Spagna. Il divario resta stabile in Germania, mentre tende a crescere in altri paesi.

I dati Ocse confermano che il nostro sistema scolastico funziona- continua Fedeli: fra le nostre e i nostri quindicenni le differenze socio-economiche di partenza pesano meno che in altri Paesi. Questo divario, però, torna a farsi sentire dopo l’uscita dal sistema scolastico. È quindi molto importante investire anche sull’acquisizione di competenze lungo tutto l’arco della vita e aiutare le ragazze e i ragazzi, soprattutto chi è in condizione di svantaggio, ad affrontare al meglio la transizione dalla scuola agli studi successivi o nel mondo del lavoro”.

 

Per Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal,quanto indicato dall’Ocse non può essere considerato un punto di arrivo ma solo di partenza perché un Paese moderno che abbandona al suo destino i giovani, dopo averli formati, non può ritenersi soddisfatto: è chiaro che occorre incentivare gli sforzi, innanzitutto, sul fronte della dispersione scolastica, che in alcune province della Sicilia supera il 40 per cento, mentre l’Europa ci indica come soglia il 10 per cento. Questo può avvenire solo in modo: maggiorando gli organici delle aree a rischio, migliorando l’orientamento e innalzando l’obbligo formativo fino a 18 anni. Allo stesso tempo, continua Pacifico nel comunicato - occorre cambiare marcia per migliorare l’integrazione dei ragazzi con bisogni cosiddetti ‘speciali’, i disabili, ma anche i cosiddetti Bes e gli alunni con Disturbi specifici dell’apprendimento. Con il decreto legislativo collegato alla Legge 107/2015,l’Atto n. 378, sulle norme relative alla promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità, ora all’esame del Governo per l’approvazione finale, da settembre il personale docente  specializzato continuerà a essere utilizzato per 30 per cento dell’organico come precario, su posti in deroga, con oltre 52mila posti liberi assegnati fino al 30 giugno; si introducono nuove regole sulle ri-certificazioni che, senza alcuna copertura finanziaria e opportune risorse umane per le équipe mediche, stravolgeranno la vita scolastica di 260mila alunni disabili. Si conferma il blocco decennale per gli insegnanti di sostegno che, in questo modo, risultano assegnati alla scuola e non più agli alunni disabili. Parlare di integrazione in queste condizione appare davvero improbabile”.(...) Quindi va sollecitato, con adeguate risorse e norme, anche a tutela degli studenti introducendo uno statuto tutto per loro, il rapporto della scuola con il mondo del lavoro. Così come va assolutamente rilanciato il rapporto con l’Università: mentre gli studenti accademici crescono nel mondo, in Italia nell’ultimo periodo si è ridotto drasticamente il numero di matricole e siamo tra i Paesi con meno laureati. Questi sono i dati da cui ripartire”.

 

Per Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola, non si tratta né di una sorpresa, né di una scoperta di oggi riconoscere che la scuola italiana è ai primi posti nel mondo per spirito di accoglienza e capacità di inclusione. Tutto ciò si deve prima di tutto alla passione e alla competenza, spesso misconosciute, di chi nella scuola lavora ogni giorno, ma è anche frutto di scelte culturali, politiche e legislative lontane nel tempo, a cui il movimento sindacale ha dato  una spinta decisiva. Basta citare due leggi, la 820 del 1971 (introduzione del tempo pieno) e la 517 del 1977 (integrazione dei soggetti con disabilità), che hanno fatto del modello inclusivo la linea portante del nostro sistema scolastico.  Un po’ di memoria e di “sguardo lungo”, fuori dall’immediata attualità, non guastano in un Paese in cui si tende sempre a intestarsi successi e addebitare insuccessi con molta disinvoltura, quasi che i frutti che si raccolgono siano sempre di giornata, o al massimo di stagione. Le scelte lungimiranti di quegli anni ci hanno consegnato un sistema scolastico capace poi di sopravvivere, nei suoi valori fondanti, anche ai venti e alle tempeste che è stato costretto ad attraversare: l’impegno di oggi dev’essere allora quello di consolidare uno strumento così fondamentale di promozione della persona e dei diritti di cittadinanza, anche con scelte di necessario rinnovamento ma garantendogli le risorse e le condizioni indispensabili per svolgere efficacemente il compito che gli è affidato. In questa direzione ci è sembrato si muovesse la legge di bilancio per il 2017, che dopo tempi immemorabili è tornata ad assegnare alla scuola un investimento di 400 milioni, corposo e soprattutto di prospettiva. Si mantenga questo percorso, senza ingiustificabili ripensamenti. Ci sembra questo il modo giusto per onorare la “promozione” che oggi i dati dell’Ocse ci assegnano e prepararci ad affrontare e superare i futuri esami.

 

Per Pino Turi segretario generale della Uil Scuola, quella tratteggiata dall’Ocse è una scuola che svolge il suo compito ingiustamente e ripetutamente denigrata,  che indica la strada per orientare le scelte politiche nazionali  in un senso preciso, in controtendenza rispetto ad una società sofferente di individualismo che vorrebbe una scuola a sua immagine, quella del mercato, del profitto, della competizione. Le innovazioni introdotte dalla riforma del governo sono sbagliate, sia nell’approccio che nella sostanza. Con le deleghe in discussione si è ancora in tempo a modificare questo impianto, salvaguardando i principi fondamentali, quelli della costituzione. I dati presentati oggi offrono un momento di legittimo orgoglio per il nostro sistema di istruzione, riconoscimento spesso negato a chi ci lavora.  Noi non abbiamo  l’abitudine di dare troppo peso alle indagini standardizzate, anche quelle che oggi che ci danno ragione, manteniamo la nostra impostazione basata su spazi di confronto costruttivo per affermare il modello di scuola statale libera ed autonoma di cui il paese ha bisogno, e questo anche oltre il segmento temporale di formazione dei giovani, che deve continuare lungo tutto l’arco della vita lavorativa.

 

E sull'argomento è intervenuto anche Matteo Renzi, che ha commentato sulla sua pagina Facebook: continuo a pensare che sulla scuola abbiamo fatto molto ma abbiamo anche sbagliato approccio. Punti come il merito, l'alternanza scuola lavoro, la fine del precariato, il potenziamento degli insegnanti, la formazione, l'edilizia scolastica, il diritto allo studio, lo ZeroSei sul modello di Reggio Emilia sono tuttavia per me molto importanti. Con Maurizio Martina - e coinvolgendo il ministro Fedeli - faremo nelle prossime settimane un'iniziativa su questi temi.

Da quali temi ripartireste? Mi indicate un punto positivo e uno negativo tra quelli che vi hanno colpito della riforma della scuola? Vi leggo volentieri, buona giornata”.