Una recente ricerca inglese, condotta dallo psicologo Robert Plomin del King’s College di Londra è arrivata a conclusioni come queste: «Le differenze nei risultati scolastici sono altamente ereditabili. La variabilità dei voti può essere in larga parte attribuita alla genetica, che conta molto più di scuola e ambiente familiare».

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Secondo lo studio, un buon insegnante determina il 29 per cento circa delle differenze nel successo scolastico dei sedicenni inglesi giunti alla fine della scuola dell’obbligo, mentre i geni ereditati da padre e madre pesano invece per il 58 per cento.

«Ciò che vogliamo dimostrare – spiega Robert Plomin – è che i sistemi educativi dovrebbero essere più attenti ad abilità e bisogni individuali degli alunni».

Cerchiamo di capire.
In virtù dei risultati espressi dalla ricerca, è il Dna di ciascuno di noi a determinare in gran parte il nostro percorso di  apprendimento scolastico. Allo stesso tempo, in virtù di questo, si chiede ai «sistemi educativi» di personalizzare ulteriormente la proposta didattica. Riflettendoci bene, qualcosa non torna.

Prima di tutto: l’eredità genetica è senza dubbio importante, ma l’evolversi dei tempi, per fortuna, ci ha raccontato e racconta tante storie di sviluppo ed emancipazione culturale, oltre che sociale, di figli che sono riusciti nel campo degli studi più e meglio di quei padri che a scuola, in non pochi casi, non erano affatto andati, o si erano fermati ai primi rudimenti per poi iniziare a lavorare.

Malgrado la meritocrazia non sia stata e non sia il nostro forte, nel secolo passato tanti figli di contadini sono divenuti ingegneri; di certo dipenderà anche dall’atavica trasmissione del gene della saggezza e del sapere dei nostri padri, ma conta anche l’impegno individuale, e il tipo di corsi scelti e frequentati negli anni, con relativi docenti di riferimento.

E a proposito di individualità, quanto scritto dagli esperti del King ‘s College londinese non riesce a far comprendere come e perché i numeri emersi dallo studio dovrebbero consigliare una «educazione personalizzata», terreno sempre molto articolato all’interno del quale un insegnante deve sapersi muovere con assoluto tatto, oltre che estrema competenza.

Il passaggio dall’attenzione specifica verso uno studente (DSA, ora i BES, ma non solo) all’isolamento dello stesso dal resto della classe, è un concreto rischio da evitare. Il lavoro di gruppo, l’obiettivo di far crescere insieme una classe intera, per portarla a un buon livello complessivo di crescita e conoscenza, rimane una delle prerogative fondamentali di un bravo insegnante, che allo stesso momento deve operare su attitudini e ritardi di ogni «intelligenza» presente in aula.

In un passaggio della ricerca in questione, si ricorda come nessuno sia mai riuscito ancora a capire quale specifico frammento del Dna influenzi la capacità di apprendere in classe.

In attesa di riscontro, meglio continuare a fare ciascuno il proprio lavoro quotidiano, di genitori e insegnanti. Con costanza e il giusto coinvolgimento, qualche progresso si otterrà sicuramente. Al di là di (e magari oltre) qualsiasi eredità genetica.  

 

 di Emiliano Sbaraglia, Corriere Scuola di vita 2.1.2013