Scrivo di sabato mattina, nel torpore della mia stanchezza. Non è la normale stanchezza del fine settimana dei docenti. È invece uno stato di affaticamento greve, accompagnato da agitazione, ansia, inquietudine. Quella stessa inquietudine che vivo ormai da anni, mitigata a tratti dai sempre più rari momenti di vita vera, personale, più spesso nervosa, tesa, preoccupata. Vivo così da quando sono un’insegnante precaria, appesa insieme a decine di migliaia di altre persone al filo di sadici burattinai che dirigono un gioco macabro e perverso.

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Tutta la nostra vita professionale è in forse, sempre, in tutto, nel lavoro, nei diritti acquisiti, dipendente da esili trame che si possono spezzare in un istante. Nella mia esperienza personale posso riportare errori altrui che ogni volta avrebbero potuto essermi fatali, che ho scongiurato solo grazie alla mia attenzione, alla mia solerzia, alla mia capacità di controllo certosina, che può diventare ossessiva, intimorita dall’irrazionale, dal fatalismo che comincia a divorare chi è messo duramente alla prova. Ad ogni aggiornamento un percorso impervio, per me e per tanti altri dai diritti in bianco e nero.
Questa volta l’ansia è giunta già quando ho letto che l’aggiornamento delle GAE sarebbe stato solo in forma elettronica. Intuivo, sapevo che sarebbero stati dolori. Prontamente giunti. Primo inoltro, in Aprile. Il sistema però non era ancora ben rodato ed è stato necessario rifarlo. Secondo inoltro, il dieci Maggio. Ho riletto tutto decine di volte, mi sono confrontata costantemente e fino alle ore piccole con colleghi di tutta Italia, sezionando pure le virgole. Tutto andava bene. Essere sereni, però, per un precario è un obiettivo troppo ambizioso. Non poteva essere vero.
Oggi è il 17 Maggio e tra circa un’ora la procedura per l’aggiornamento delle GAE si chiuderà: chi è dentro “festeggi”, chi è fuori lo sarà per sempre. E a poche ore da questo termine perentorio, nel pomeriggio del giorno 16, è giunta una sorpresa amara: un’e-mail  ambigua mi invitava a rifare tutto, perché avevo inserito nella domanda una nota e a quanto pare potevo non visualizzarla. Eppure io la visualizzavo benissimo. Perché, allora, questa e-mail? Ennesimo bug del sistema? Cosa fare, dunque? Ansia, panico, tormento, impotenza, pianto.
Da nessuna parte era scritto cosa sarebbe accaduto non rifacendo la procedura. Ed era chiaro che rifacendola avrei potuto trovare il sistema intasato ed essere fuori per sempre. Ancora una volta mi sono confrontata, in lacrime, con colleghi di tutta Italia. Tutti increduli, sorpresi. Le voci si sono rincorse, le proposte non sono state univoche, né avrebbero potuto esserlo. Ho preso tutto il coraggio che mi restava ed ho affidato alle mani di qualcuno che mi era vicino il compito di rifare tutto. Si tratta di una proceduta rapida. Tutto è finito presto. Ma sono stai attimi di puro terrore, in cui sentivo solo il battito del cuore che mi ossessionava le tempie. È seguito un forte mal di testa, senso di debolezza, capogiri.
Ed è cosi anche oggi, dopo una notte insonne. Per me, per tanti altri che hanno vissuto questi momenti surreali. Solo dopo alcune ore il MIUR ha chiarito che la domanda sarebbe stata valida anche senza rifarla. Non credo di esagerare dicendo che si tratta di terrorismo psicologico. Non avere diritti acquisiti una volta per tutte. Già questo è indegno di un Paese civile. Come indegni sono stati i continui cambiamenti in corso d’opera, il non aver attivato un numero verde a supporto, l’averci affidato ad un sistema inefficace, che si intasa, che ci ha costretti ad accedere alle ore più assurde, che prevede di annullare prima di poter rifare l’inoltro della domanda. Già la piccola attenzione di tenere valida la precedente domanda fino a nuovo inoltro ci avrebbe tolto tanto stress. Ma così non è e noi, ogni giorno più curvi, siamo sempre più schiacciati da una burocrazia ormai dematerializzata, che non ci permette più di portare a nostra difesa nemmeno una prova cartacea.

Tina Naccarato

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